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ROSTI DI PATATE

ROSTI DI PATATE

ROSTI DI PATATE

I rosti di patate sono un piatto povero della tradizione contadina svizzera. Non a caso, infatti, si usa un solo ingrediente, le patate, rigorosamente arrostite in padella. La ricetta è stata personalizzata ed enfatizzata da chef, cuisine blogger e massaie, aggiungendo alle patate gli ingredienti più disparati: dalla pancetta alle cipolle, dal formaggio allo speck, il tutto imbottito da aromi, spezie ed essenze esotiche o nostrane. Ma se volete rimanere fedeli alla tradizione e non suscitare le ire dell’integralismo culinario svizzero, io vi suggerisco di usare solo e soltanto patate! Ottime patate, possibilmente, visto che non le potete mascherare con nessun altro sapore. Suggerisco una patata soda, che rilasci poca acqua e che sia adatta alla cottura in padella. Si, d’accordo, c’è anche chi usa il forno o la friggitrice ad aria o prelessa le patate, ma, diciamocelo, quando la padella è necessaria bisogna usarla, come in questa ricetta e con salvezza dalle ire del contadino svizzero! Le patate biologiche di montagna in questa preparazione hanno vittoria facile: dalla polpa soda e saporita rendono questo piatto davvero unico. Io suggerisco la patata rossa Camel o, per chi preferisce un sapore più deciso, la patata gialla Agria. Le trovate qui: www.leprata.eu/patate. 

Procedimento: grattugiate le patate con una grattugia a grana media o grossa, aggiungete un pizzico di sale e lasciate riposare. Strizzate poi le patate, ponetele in una ciotola ed aggiungete pepe, farina o fecola di patate e olio (consiglio quello di semi per frittura) ed un pizzico di curcuma o paprika concesso per esaltare il colore giallo. L’olio e la farina vi aiuteranno ad impastare il composto ed a realizzare la classica forma a frittella. Versate poco olio anche nella padella antiaderente e, appena sarà rovente, adagiatevi le frittelle girandole solo quando avranno formato da un lato la classica crosticina croccante. Ripetete la doratura sull’altro lato e tiratele fuori adagiandole su un piatto da portata. Questa ricetta ha:

Livello di difficoltà: FACILE

Tempo di preparazione: 30 minuti (compreso il riposo) più 10 minuti per la cottura anzi per la “rostitura”. 

Buon appetito da Gloria!!

 

FARRO!

FARRO!

Come si cuoce il farro? Che differenza c’è tra il farro decorticato e perlato? La farina di farro lievita? Come lo cucino?

Carissime amiche ed amici queste ed altre domande sono quelle che leggo più di frequente nelle mail che  mi arrivano. Ho pensato di riassumere qui qualche piccolo consiglio, rimanendo a vostra disposizione per ogni curiosità.

Un pò di storia…

Il farro è un cereale antico e nobile che tutti dovremmo riscoprire per le caratteristiche nutrizionali e la bontà delle ricette in cui viene usato.  Gli antichi romani, che non erano degli sprovveduti, infatti, lo consideravano alimento di gran valore e ne riconoscevano l’importanza persino nei riti matrimoniali, dove gli sposi spezzavano una focaccia di farro simbolo della vita coniugale che si apprestavano ad iniziare.

Ci avete mai pensato che le parole “farro” e “farina” hanno la stessa radice?

Etimologicamente farina deriva della parola farro e ciò attesta il ruolo principe che tale cereale rivestiva nell’antichità. Perché, poi, con il passare del tempo il farro è stato soppiantato dal grano? Indubbiamente e in primo luogo per la minor lavorazione richiesta dal grano. Il chicco di grano, a seguito della battitura delle spighe, viene raccolto “nudo” cioè privo di quella glumella esterna che, invece, riveste il chicco di farro e che impone, quindi, un processo di “decorticatura”. Oggi la decorticatura è del tutto meccanizzata ma in passato doveva creare non pochi problemi ai contadini che la effettuavano esclusivamente a mano. Il processo di decorticatura incide sul costo di produzione del cereale che, quindi, è posto in vendita ad un prezzo in genere superiore a quello del grano.

Io penso che il farro sia un cereale poco utilizzato in cucina soprattutto perché non se ne conoscono le caratteristiche nutrizionali e le modalità di preparazione.

Farro integrale e farro perlato

Da dove possiamo partire per approfondire questa conoscenza? Prima di tutto diciamo che sugli scaffali troviamo “il farro integrale” e “il farro perlato”. Il farro è integrale se il processo di decorticatura si è limitato a rimuovere la pula, cioè il solo rivestimento esterno di paglia, ottenendo chicchi molto integrali riconoscibili dal colore bruno degli stessi. Se, invece la decorticatura va ad incidere anche sulla superficie del chicco, rimuovendo il primo strato di tegumento, si avrà un prodotto più raffinato, conosciuto come “perlatura” del chicco che assume una colorazione più chiara o addirittura biancastra.  Quest’ultimo è il “farro perlato”. Quale tipologia è preferibile acquistare: il “farro integrale” o il “farro perlato”? Vi dico che dipende dall’uso che se ne vuole fare in cucina e dalle esigenze nutrizionali di ognuno. Il farro integrale è senza dubbio più ricco di fibre, vitamine, sali minerali ed antiossidanti rispetto a quello perlato perché mantiene intatti gli strati esterni del chicco rappresentati dalla crusca e dal germe. Il farro perlato, invece, subisce un processo di raffinazione che preserva solo la parte del chicco che contiene carboidrati, amidi e proteine. Il farro integrale, però, richiede tempi di cottura più lunghi del farro perlato e alla masticazione risulta più consistente e fibroso di quello perlato.

Lo stesso discorso vale per le farine. Se i chicchi vengono moliti integrali e non viene setacciata la crusca si ottiene una farina più integrale con le caratteristiche di cui sopra, altrimenti la setacciatura della crusca restituirà una farina più chiara e più raffinata.

Valori nutrizionali del farro

Mangiando farro assumiamo meno carboidrati e più proteine rispetto al grano. Infatti, a parità di calorie (circa 335 ogni 100 gr) il farro ha meno carboidrati e maggiori proteine e fibre, a parità di fosforo e potassio contiene più calcio e sodio.

Ok, detto ciò, ma come si cuoce il farro e come si cucina ?

Come cucinare il farro

Il farro non necessita di ammollo ma esclusivamente di un bel lavaggio che facilita anche la separazione di qualche chicco non completamento svestito della pula. In acqua salata cuoce in circa 20 minuti se perlato, 25 minuti se integrale. Il farro si può cucinare anche nella pentola a pressione, riducendo i tempi di cottura alla metà, utilizzando un quantitativo di acqua necessario a coprire i chicchi con una abbondanza di 4-5 cm per permetterne il rigonfiamento. La pentola a pressione in questo caso può risultare utile per cucinare agevolmente e velocemente zuppe di farro e legumi, versando nella pentola tutti gli ingredienti necessari al condimento e acqua nelle proporzioni suddette.

Ma la farina di farro lievita? Se voglio preparare un bel dolce con la farina di farro o  impastare il pane di farro devo prima di tutto sapere che più sarà integrale la farina più la lievitazione sarà inferiore rispetto alla farina di grano tenero. Per questo la farina di farro da il meglio nei dolci poco lievitati come ciambelline al vino o ferratelle e nelle focacce “scrocchiarelle”. Rinnovo il mio invito, sempre e comunque, a preferire una farina poco raffinata e di provenienza certificata, meglio se biologica, rispetto alle farine estremamente raffinate che si trovano in commercio soprattutto perchè, come vi ho accennato, le qualità principali dei cereali si trovano proprio nel rivestimento del chicco e nel germe.

Vi rimetto del blog qualche ricetta con cui potete sperimentare la versatilità e bonta di questo nobile cereale! Mandatemi le vostre foto 😉

A presto!

FARROTTO VERDE

FARROTTO VERDE

L’inverno ti mette alla prova? Allora accetta la sfida e prova a fare il pieno di energia e vitamine con una ricetta facile facile che combina le proprietà benefiche del farro con legumi misti con quelle delle verdure verdi di stagione.

Per questa preparazione scegli verdura verde di stagione a piacere. Noi abbiamo provato con gli spinaci ed il broccolo ricchi di potassio e vitamina A, di vitamina C e folati per rafforzare le difese immunitarie

Patata Turchesa: eccellenza d’Abruzzo

Patata Turchesa: eccellenza d’Abruzzo

Raccontava nonno Andrea che la sera, intorno al fuoco, si mangiavano in allegria le patate cotte “sotto al coppo” una delle più antiche ricette della tradizione contadina abruzzese.

Patate dalla buccia color viola, spaccate a metà e arrostite sotto la brace, protette, per quanto possibile, dal “coppo” una sorta di teglia capovolta a mo’ di coperchio che le preservava dal contatto con la cenere. E quando si portavano alla bocca, il profumo della patata Turchesa, la sua crosticina arrostita, la buccia delicata mista alla cenere e al fumo del camino ricordavano storie e profumi che venivano dalla terra.

La patata Turchesa o patata dalla buccia viola e pasta bianchissima è stata per decenni la coltivazione di tubero più diffusa nell’areale del Parco nazionale del Gran Sasso e monti della Laga. Riposta al fresco nelle cantine costituiva la principale fonte di sostentamento per l’inverno insieme ai fagioli.

Poi con l’abbandono delle terre, l’avvento di varietà più produttive, il monopolio sementiero dell’industria la coltura della patata Turchesa è andata via via scemando e, come i nostri nonni, rischiava di restare solo un ricordo per coloro che sono venuti dopo.

L’iniziativa del Parco e la buona volontà degli Agricoltori Custodi ha riportato sulle terre e sulle tavole un prodotto d’eccellenza della tradizione contadina abruzzese salvando dall’oblio un tubero dalle caratteristiche organolettiche uniche. Le sue caratteristiche nutrizionali evidenziano una elevata presenza di antiossidanti presenti soprattutto nella buccia per cui se ne consiglia la cottura senza sbucciarla al vapore o arrosto senza bollirla.

La scheda della patata Turchesa  sul nostro sito.

La Patata Turchesa è stata inserita nell’elenco del Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della Regione lazio ed Abruzzo.

 

 

Itinerari enogastronomici del Parco: alla scoperta delle misteriose sorgenti del fiume Aterno tra cereali e legumi antichi

Itinerari enogastronomici del Parco: alla scoperta delle misteriose sorgenti del fiume Aterno tra cereali e legumi antichi

Tra gli itinerari enogastronomici proposti dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga quello dell’Alto Aterno coniuga l’amore per l’arte, la natura, la buona tavola, imponendo una sosta anche all’azienda biologica le Prata.

Gambe in spalla o due ruote alla mano si parte dall’Aquila alla ricerca delle misteriose sorgenti dell’Aterno, il fiume più lungo e tortuoso d’Abruzzo.

La prima fermata, imposta dalla bellezza del luogo, è quella agli scavi archeologici dell’antica Amiternum, città sabina che diede i natali allo storico Sallustio. I resti del teatro e dell’anfiteatro dimostrano quanto fosse florida la città ai tempi dell’impero romano, rappresentando un’importante sosta sulla via di transito tra il Tirreno e l’Adriatico.

Costeggiando il fiume sul’itinerario principale si incontra  il borgo di Pizzoli, che con il suo imponente castello a pianta quadrata, tra il corso d’acqua e la montagna, sorveglia la porta occidentale del Parco Nazionale e l’ingresso all’Alta Valle dell’Aterno. Ci si addentra, quindi, in una stretta e tortuosa gola del fiume che da Cagnano Amiterno, per alcuni chilometri, mostra la bellezza aspra ed impervia del versante ovest del massiccio del Gran Sasso.

La strada serpeggia silenziosa fino alla frazione di Marana, dove l’ottimo pane casereccio ed i dolci tipici della tradizione abruzzese sono da sempre il motivo di una sosta piacevole per i viaggiatori che percorrono questo tragitto in direzione di Amatrice e della via Salaria.

Riprendendo il cammino all’improvviso le creste montagnose si fanno da parte per mostrare l’ampio scenario della piana di Montereale da sempre vocata alla coltivazione di patate e cereali. A Colle Cavallari si trova l’Azienda agricola biologica Le Prata di Sacchi Nazzareno, specializzata nella produzione di legumi, cereali antichi e patate di diverse e colorate varietà. Il fiume Aterno attraversa queste terre scendendo dal margine settentrionale della conca di Montereale dove, tra la folta vegetazione dei crinali della frazione di Aringo, sono nascoste le sorgenti di quelle che si narra essere le acque più fredde d’Italia.

Verosimilmente intorno all’anno mille, il fiume Aterno alimentava un ampio spettro lacustre nella piana di Montereale prima di aprirsi un varco nella gola di Marana. La passata natura paludosa di questi territori è testimoniata oggi dalla denominazione dell’antico santuario della Madonna “in Pantanis” risalente all’undicesimo secolo.

La variegata biodiversità del Parco

Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga è localizzato nel cuore dell’Appennino.  Si estende sul territorio di tre regioni: Abruzzo, Lazio e  Marche e comprende 44 comuni distribuiti su cinque provincie: l’Aquila, Teramo, Pescara, Rieti ed Ascoli Piceno.

Nel Parco vivono circa 2300 specie vegetali superiori, oltre un quinto dell’intera flora europea, e più di un terzo del patrimonio floristico italiano. L’animale simbolo del Parco è il Camoscio dell’Appennino: a seguito di un progetto di reintroduzione, oggi se ne contano circa 500 individui.

Il patrimonio faunistico dell’area protetta conta anche grandi erbivori quali cervi e caprioli ed il loro predatore per eccellenza, il lupo appenninico. Martore, Gatti selvatici, Tassi, Faine ed Istrici sono avvistabili quotidianamente, mentre, alzando gli occhi al cielo, non è raro avvistare variopinte colonie avicole fino a rapaci rari come l’Aquila reale, l’Astore ed il Falco pellegrino.

Custodite dall’imponenza delle montagne abruzzesi sono sopravvissute al tempo ed alle spietate leggi del mercato globale antiche colture come la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, la cicerchia di Castelvecchio Calvisio, la cicerchiola di Camarda, i ceci neri o rossi di Navelli, la pastinaca di Capitignano, le uve Moscatello di Castiglione a Casauria e il vitigno Pecorino dell’alta valle del Tronto.

Si è conservata, quasi fosse una reliquia, la patata turchesa, caratterizzata dalla buccia di color viola e la pasta bianchissima, una delle prime patate introdotte in Europa dall’America, caratterizzata da un alto contenuto di antiossidanti e antociani.

Antiche varietà di piante, tuttora coltivate da poche aziende agricole “Custodi”, possono vantare una storia millenaria, un “retaggio” culturale unico come nel caso del grano tenero “Solina”, probabilmente la siligo dei romani, il grano declamato da Plinio e Columella come il migliore in assoluto per la panificazione.

Fonte: www.gransassolagapark.it

 

Progetto Fruttantica

Progetto Fruttantica

Con il progetto Fruttantica il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ha voluto recuperare per finalità produttive, didattiche ed educative le antiche varietà di piante da frutto un tempo coltivate nell’areale del Parco.

Grazie alla collaborazione di alcune aziende agricole che hanno aderito al progetto sono state individuate e recuperate antiche varietà fruttifere coltivate nei decenni passati dagli agricoltori delle zone montane per le caratteristiche di adattabilità al clima ed al territorio, di frugalità e rusticità in seguito abbandonate a favore di specie più produttive.

L’azienda agricola le Prata ha messo a dimora alcune varietà particolarmente ricercate come la mela rosa, la mela S. Giovanni, la mela gelata, la mela Limoncella,  la pera settembrina, la pera spadone e la pera Spina, valorizzandone la coltura con la pratica biologica.

Una pratica in controtendenza rispetto alle esigenze commerciali della frutticultura moderna che richiede la standardizzazione delle forme e l’assenza di ammaccature o imperfezioni ma una scelta consapevole dettata dalla volontà di trasmettere alle nuove generazioni  gli odori ed i sapori legati al ricordo ed all’infanzia senza il ricorso a prodotti fitosanitari ed antiparassitari.

Una scelta a favore della biodiversità!  

La rete degli Agricoltori Custodi

La rete degli Agricoltori Custodi

L’azienda biologica le Prata è “Agricoltore Custode del Parco”

La costituzione di una rete di Agricoltori Custodi da parte del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga è una iniziativa finalizzata a salvaguardare antiche varietà cerealicole, orticole e leguminose, coltivate da sempre nel territorio del Parco, man mano abbandonate a favore di specie più appetibili per le grandi produzioni intensive.

Grazie agli Agricoltori che si sono impegnati a custodire le varietà a rischio di estinzione oggi sopravvivono nell’areale del Parco il grano Solina, la Patata Turchesa, il fagiolo gialletto, il fagiolo monachella, il fagiolo “Tondino abruzzese”, i ceci pizzuti di Capitignano, la pastinaca e tante altre varietà che rappresentano un punto di eccellenza nel territorio per la conservazione, informazione e divulgazione delle specie autoctone.

Attraverso le pratiche agronomiche praticate gli “Agricoltori Custodi” intendono porre un argine alla rapida estinzione della diversità genetica della vegetazione e della fauna locale che, negli anni, sta comportando gravi danni ambientali mettendo a rischio la biodiversità. Ancorpiù quegli Agricoltori Custodi – come l’Azienda agricola Le Prata – che hanno deciso di moltiplicare gli effetti positivi di tale recupero genetico, valorizzando le coltivazioni con l’uso esclusivo di tecniche di coltivazione proprie dell’agricoltura biologica. 

Facendo seguito alle iniziative del Parco, la stessa regione Abruzzo ha riconosciuto con propria legge il ruolo dell’agricoltore “come custode dell’ambiente e del territorio”.

A tal fine l’Agricoltore Custode di biodiversità si impegna a:

  • salvaguardare un sistema produttivo sostenibile sotto il profilo ambientale ed economico
  • a conservare e trasmettere le tradizioni agricole locali
  • a valorizzare le tipicità locali
  • a curare e proteggere il territorio dagli effetti dannosi dell’abbandono delle attività agricole in genere